27 maggio 2006

Carmina Burana

Con l'avvento del nazionalsocialismo in Germania l'arte cominciò ad essere assoggettata alle esigenze della politica. Doveva essere bandita ogni forma di pessimismo; il linguaggio non poteva cadere nell'ambiguità; le tendenze sperimentali dell'avanguardia dovevano essere dimenticate ed osteggiate. Questo perchè non erano in grado di rappresentare la solida chiarezza dei valori nazionalsocialisti. Tutto ciò che non rispettava queste regole veniva definito "degenerato" e quindi doveva essere perseguitato. Le possibilità per i musicisti quindi erano due, si trovavano ad un bivio, potevano aderire alle costrizioni politiche oppure decidere di percorrere il pericoloso terreno della "musica degenerata": da una parte trovavano l'imitazione della retorica tardo-romantica, dall'altra la ricerca e la scoperta di nuove risorse espressive.
Carl Orff riesce a trovare una mediazione tra le esigenze nazionalsocialiste ed il rifiuto della piatta imitazione. Sembra che l'unica soluzione sia rifugiarsi in un'altra dimensione, ignara dei problemi culturali di quel tempo. Decide di rievocare un mondo antico e medievale, quasi primitivo.
Il motore che alimenta l'energia dei Carmina Burana è il rapporto tra musica e immagini. Importante chiave di lettura è il sottotilo: "canzoni profane per soli e coro misto, con accompagnamento di strumenti e immagini magiche". L'opera è animata da figure vivaci e brillanti, piena di figure allegoriche, sempre in movimento, che sembrano agitarsi dietro la poesia.

L'apertura è la più potente tra le opere di musica classica. E' la Dea Fortuna che entra in scena, invocata in maniera roboante dal coro, con una violenza che rievoca quella dei riti tribali. Ed è proprio la Fortuna il fulcro attorno al quale ruota la goliardia dell'opera. La Fortuna rappresenta l'oggetto dell'adorazione del fedele, è l'immagine che rassicura ed incatena la devozione dell'uomo. Una figura ossessiva e ipnotica.
Nell'opera possiamo trovare tre grandi temi: la primavera, gli stati d'animo tellurici dell'osteria e la corte degli amori.
La celebrazione della nuova stagione ha come protagonista il coro, che dopo la violenta introduzione, sussurra un inno alla primavera facendo muovere la nostra immaginazione nelle verdeggianti distese dei prati, per godere della natura rinata.

Primavera lieta in volto al mondo si mostra
l'esercito dell'inverno, sconfitto, è già in fuga,
nell'abito variopinto Flora regna,
e nella silvestre armonia con il canto è celebrata.

Nella taverna esplode la spessa materialità dell'uomo a confronto con le tentazioni. Il coro si siede, la celebrazione dei valori terreni è affidata ad un baritono dal tono spavaldo. Lo interrompono il grido parodico del cigno, passato dalla limpidezza delle acque lacustri all'untume di un arrosto saporito.

Un tempo vivevo sul lago, un tempo ero bello,
quando ero cigno.
Povero me, povero me! ora annerito e tutto bruciato!

Gira, rigira il cuoco; il fuoco mi brucia forte:
mi serve in tavola il garzone.
Povero me, povero me! ora annerito e tutto bruciato!

Ormai nel vassoio giaccio, e non posso volare,
vedo denti che masticano:
Povero me, povero me! ora annerito e tutto bruciato!

La taverna rappresenta un mondo senza tempo, senza onori né oneri, un mondo sprofondato nella contemplazione delle passioni effimere ma incapace di riflettere sulla caducità della vita umana.

Solo quando si apre la corte degli amori l'uomo riemerge a contemplare la terra illuminata dalla luce del sole; si riscopre il benessere dei sentimenti puri e noi ascoltatori siamo aiutati a percepirlo dal timbro aggraziato dei flauti. L'amore diventa il rimedio alla noia, e nella raccolta cameretta si materializza la risposta dei Carmina Burana alla limitatezza dell'esistenza umana.